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venerdì 22 maggio 2020

Il Podestà ed il suo Palazzo

MANTO DI LUNA

Il Podestà ed il suo Palazzo

di Claudia Zerbinati



La giustizia non viene turbata da amore, odio, suppliche      Amo gli uomini a causa della giustizia e non viceversa
Si tratta di esortazioni al Podestà a ben giudicare a Mantova




A Mantova probabilmente un primo tentativo di organizzazione comunale si ebbe tra il 1090 ed il 1114, con la fallita ribellione a Matilde di Canossa. Sarà il Consiglio dei consoli a governare i Comuni medioevali a partire dalla seconda metà del XII secolo, sino all’avvento del Podestà.
La figura politica del Podestà – dal latino potestas, col significato di autorità, potere, sovranità – contrariamente a quella di console, doveva essere ricoperta possibilmente da una persona non appartenente alla città, in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e garantire quindi l'imparzialità nell'applicazione delle leggi. Eletto dalla maggiore assemblea del Comune (Consiglio generale), durava solitamente in carica sei mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti comunali, ai quali era vincolato, e alla fine del mandato il suo operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di sindaci. Nella pratica il podestà esercitava i poteri esecutivo, di polizia e giudiziario, divenendo di fatto il più importante strumento di applicazione e rispetto delle leggi, anche amministrative. Non aveva, invece, poteri legislativi, né il comando delle milizie comunali che veniva affidato al capitano del popolo. 
Il primo Podestà di Mantova fu nel 1184 Garsedonio, noto anche come Graziadoro, probabilmente originario della Germania, vescovo della città ma strenuo sostenitore dell’Imperatore Federico Barbarossa.
Il palazzo ove si insedia il Podestà diviene così un luogo fondamentale per comprendere i rapporti tra arte, politica e società: lo spazio designato per la costruzione si collega alle antiche sedi del potere divenendo un nuovo fulcro urbanistico per lo sviluppo.
La zona confinante con l’antico monastero benedettino di S. Andrea e la rotonda di S. Lorenzo divenne la sede, già sul finire del XII secolo, degli edifici che avevano a che fare, secondo funzionalità diverse, con la vita del Comune di Mantua, sorto dopo la dominazione di Matilde di Canossa. Il nucleo più antico doveva essere una semplice casa fortezza, un parallelepipedo con tetto a capanna a due falde il cui lato più antico si affacciava su Via Giustiziati, attraverso grandi monofore a tutto sesto dalla tipica decorazione puntinata. In un documento del 1207 si nomina un Palatium Novum Comunis Mantuae, a dimostrazione dell’esistenza di un Palatium Vetus. Si edificò così la Torre delle Ore che, nei suoi 47 metri, conteneva sia la campana per la chiamata a raccolta dei cittadini, sia le celle per i prigionieri e, all’ultimo piano, l’abitazione del Torresano. Un tempo numerose targhe ricordavano i Podestà succedutisi nel governo di Mantova: unico superstite oggi uno stemma in terracotta invetriata (il cui originale è conservato nel Museo di San Sebastiano) che ricorda il Podestà del 1494, il fiorentino Gabriello Ginori.
Nel 1227 il bresciano Lauderengo Martinengo, quale nuovo Podestà, decise di rinnovare la sede comunale, ampliando quella del 1207 in estensione alla facciata precedente che viene resa cieca e venendo così a creare la distinzione tra Piazza Broletto e Piazza delle Erbe. Egli provvide anche alla collocazione sulla facciata dello stesso palazzo verso piazza Broletto della statua del cosiddetto "Virgilio in cattedra" – bonariamente soprannominato dai mantovani “La Vécia” – con la lapide che recita: MILLENIS LAPSIS ANNIS DOMINIQVE DVCENTIS BISQVE DECEM IVNCTIS SEPTEMQVE SEQVENTIBVS ILLOS VIR CONSTANS ANIMO FORTIS SAPIENSQVE BENIGNVS LAVDARENGVS HONESTIS MORIBVS VNDIQVE PLENVS HANC FIERI LEGITOR FECIT QVAM. Chiamato anche Palazzo del Broletto, rappresentò il centro amministrativo del comune di Mantova. Brolo era un termine assai diffuso nel Medioevo per indicare un campo circondato da un muro, tanto che già nelle leggi carolingie si trova spesso menzione di Brolii, brogili, broili, come prati boscosi dove il Re esercitava la caccia. 



Verso piazza Broletto, chiamata poi anche Piazza dei Birri e Piazza Dante, il Palazzo del Podestà fu collegato al palazzo della Masseria - dove il tesoriere amministrava i beni comunali - con la costruzione dell'Arengario da dove venivano lette le sentenze ed i bandi. L'arengo, nel Medioevo, era il luogo dove i cittadini insorti contro i feudatari si riunivano per auto-organizzarsi. Il termine, probabilmente derivato dal germanico "hring" ovvero cerchio, anello, passa poi ad indicare la stessa assemblea della cittadinanza in numerosi comuni italiani. Sormontato da due trifore e più in alto da una galleria "a giorno" costituita da archetti retti da piccole colonne, sotto il voltone, dove la pietra bianca si alterna al rosso del cotto, è ancora possibile scorgere gli anelli di ferro che venivano usati per gli "squassi de corda", una tortura a cui venivano condannati i malviventi. Per ogni inflizione di corda segreta, a purgazione della macchia, al Cavallaro della corda spettavano Lire dodici, con aumento del 50% nel caso fosse prevista la morte del condannato.



   
Il complesso subì diversi rifacimenti e modifiche architettoniche, anche a causa dei numerosi incendi succedutisi, a partire dal 1241-2 quando Guidone da Correggio ricostruì il Palazzo podestarile IN MELIORE FORMA. Dove un tempo sorgeva il Palazzo dei Canossa, in affaccio alla piazza delle Erbe, attorno al 1250 fu eretto il Palazzo della Ragione, che con i suoi 970 mq diverrà l’aula di Giustizia, sede del Foro sia civile che penale: le cause si discutevano in gran parte nella Gran Sala appunto, dove sedevano il Podestà e i giudici - del Paradiso, dei Malefici, degli Argini, delle Condanne e dei Danni Dati –  assieme ai loro notai, sui banchi che rimasero ivi collocati fino alla fine del Settecento. Alla base della torre suddetta si trova il cosiddetto “Portico dei Lattonai”, che conduce al cortile interno mettendo in comunicazione le due piazze.
Il complesso dei palazzi comunali venne quindi munito di portici nel 1441, a protezione dei laboratori artigianali, osterie e numerose piccole rivendite di alimentari ed oggetti domestici. Ai piedi della Torre delle Ore, una di queste botteghe è sopravvissuta, anche se nel tempo ampliata a simulare un portico ed una loggetta con una doppia serliana in parte cieca; dapprima occupata da un funzionario gonzaghesco, oggi ospita una gelateria. 
Con il passare degli anni la carica di Podestà divenne un vero e proprio mestiere esercitato da professionisti che cambiavano spesso sede di lavoro e ricevevano un regolare stipendio. Questo continuo scambio di persone e di esperienze, con il passare del tempo, contribuì a fare in modo che le leggi e la loro applicazione tendessero a diventare omogenee in città, anche distanti tra loro, nelle quali avevano governato gli stessi Podestà. Nel periodo signorile la figura del Podestà perse la maggior parte delle proprie prerogative strettamente politiche, diventando semplicemente un alto magistrato incaricato di amministrare la giustizia e di mantenere l'ordine pubblico, rispondendo direttamente del proprio operato al Signore della città o al Principe dello Stato regionale a cui la città apparteneva. Questa evoluzione della figura del Podestà ne accentuò ancor più l'aspetto di ufficialità di professionalità, spostandosi di città in città con il seguito dalla sua “famiglia”, termine con il quale si indicavano i componenti dello "staff" del podestà (il vicario, i giudici, i birri addetti al mantenimento dell'ordine pubblico, i servitori, ed un conestabile). 

Il Podestà veniva nominato dal Signore o dal Principe e solo in seguito veniva sottoposto all'approvazione, puramente formale, del Consiglio Cittadino; l'incarico aveva una durata, variabile da città a città, che andava da sei mesi a due anni e poteva talvolta essere rinnovato per un secondo mandato e talvolta un terzo. 
Lo stretto legame fra carica e palazzo era ribadito dalla diffusa consuetudine secondo la quale, allo scadere del mandato, il Podestà lasciava dipinta o scolpita nella propria residenza «l’arma dell’impero, coll’arma e coll’insegna sua», quale simbolo di riconoscenza alla città per l’incarico affidatogli.
Ne è un esempio l’emblema sotto, probabilmente del Podestà del 1473 di origini bergamasche, Ermaclide Suardi.
  



Nello scrupoloso elenco dei 338 Podestà di Mantova svolto dallo studioso mantovano Carlo D’Arco, figurano nomi che destano curiosità come Petardino De Petardi o Amigone degli Amigoni, ma anche nomi noti quali Lapo degli Uberti (figlio del celebre Farinata, così soprannominato per i capelli biondi, il fiero ghibellino posto da Dante nel X Canto dell’Inferno tra i fiorentini “ch’a ben far puoser li’ngegni”).
I Gonzaga non vedevano di buon occhio il persistere di edifici che rammentassero il passato splendore della libertà comunale; “accidentalmente” nel 1413 un nuovo incendio rese quello che all’epoca veniva chiamato anche Palazzo di Virgilio un rudere intollerabile; così a partire dal 1461 Ludovico II Gonzaga - nell’ottica della renovatio urbis - assegnò a Luca Fancelli e Giovanni Antonio d’Arezzo il compito di apportare un miglioramento strutturale ed urbanistico, soprattutto nel gusto estetico delle facciate ormai desueto. Anche grazie all’aiuto fornito dai mercanti, in particolare di granaglie, che ai piani bassi avevano i magazzini, vennero sostituiti i solai a travi lignei delle botteghe a piano terra con volte riempite di materiale di recupero (come quello oggi esposto in uno dei passaggi), segno che il peso da sostenere aumentava essendo stato adibito anche a granaio, come attestano le cosiddette bocche del grano tutt’ora individuabili, oltre che ad archivio notarile ed a pubblico registro. Si aggiunsero le merlature tondeggianti ricoperte dal 1700, il cortile d’onore con lo scalone che verrà denominato dei criminali, la Torre dell’Orologio all’angolo con Piazza Erbe. All’interno nella cosiddetta stanza della caminata figurava il bellissimo camino del Fancelli, oggi conservato a Palazzo Ducale. Ancor oggi si leggono i due momenti creativi di cui il Palazzo fu oggetto: un primo momento, semplice ma allo stesso tempo rozzo e potente, ed un secondo momento che s’ispira all'arte umanistico-rinascimentale, già affermatasi in area Toscana. Sviluppatosi per addizioni disarticolate e disomogenee, spesso non in dialogo tra loro, il Palazzo internamente presenta differenti livelli di pavimenti, di altezze e dei setti murari, anche se all’esterno tutto questo non è percepibile perché scenograficamente il Palazzo, attraverso le finestre rettangolari, è sempre orientato verso lo spazio pubblico, grazie agli architetti toscani che armonizzarono la struttura, creando una quinta urbana rinascimentale. 


Di fatto la giurisdizione del Podestà subì un notevole ridimensionamento quando, nel 1556, il Duca Guglielmo Gonzaga, per evitare dilazioni nei processi, costituì un Tribunale (Rota) composto da tre uditori, le cui sentenze erano inappellabili; nelle cause penali egli fu sostituito nel 1571 dal Senato di Giustizia, affiancato poi da un Capitano di Giustizia. Gli stemmi e le imprese di Casa Gonzaga sono in taluni casi ancora leggibili.

La cappella del Senato, con la colomba dello Spirito Santo, i Dottori della Chiesa e cori di angeli su fondo dorato, venne poi affrescata in stile barocco nel 1624 dal pittore bolognese Giovanni Battista Caccioli. Il monito IUSTE IUDICA PROXIMO TUO invita a giudicare rettamente.
Essa venne a trovarsi al di sopra dell’Oratorio dei Giustiziati, esistente fin dal XIV secolo. 


Nel 1707 con la presa del potere da parte degli Asburgo viene modificato l’assetto del governo e parimenti quello del Palazzo. Conseguentemente alle riforme asburgiche in campo istituzionale (amministrativo e giudiziario) l’ingegner Doriciglio Moscatelli Battaglia, prima, e l’architetto Paolo Pozzo, poi a fine secolo, intervennero al fine di permettere una miglior agibilità del complesso che rimane Palazzo di Giustizia sino al 1873 e quindi carcere sino al 1911. Nel 1796 Ferrante Agnelli è l’ultimo Podestà, subendo la città l’assedio dei francesi rivoluzionari conclusosi l’anno seguente con la proclamazione della Repubblica Cisalpina. 
Il complesso dei Palazzi del Podestà e della Ragione appartiene al Comune di Mantova dal 1938, a seguito di un processo di alienazione da parte del Demanio dello Stato, iniziato nel 1918 e vincolato all’obbligo di restaurare gli edifici entro dieci anni. Ecco l’intervento del 1939-42 di Aldo Andreani che, nell’intento di ripristinare l’aspetto medievale, non poté risolvere le incongruenze distributive e la difficoltà di adattare l’intrico delle oltre 200 e più stanze ad un uso pubblico (mentre nel 1969-71 Piero Gazzola e Giuseppe Volpi Ghirardini agirono solo sulle facciate). Morfologia, assetto costruttivo e trasformazioni ne hanno determinato una fragilità strutturale che, aggravata dalle ferite causate del sisma del 2012, costituiscono la principale difficoltà per tornare in possesso dell’edificio e rifunzionalizzarlo.
Distribuito su quasi 7.000 mq, scandito da oltre 200 stanze e moltiplicato per otto piani (sfalsati), lo spazio occupato dal Palazzo è un labirinto spazio-temporale, la cui storia è sedimentata nelle migliaia di mattoni, nelle pietre aggiunte e nelle innumerevoli tracce di finiture a fresco, mezzo fresco, olio e tempera, dal Medioevo all’Ottocento. 
Lo sguardo anche oggi continua ad essere rapito da cavalieri medievali dallo scudo biancorosso che spronano i loro destrieri, da un centauro che tenta la fuga, da tre Santi che sembrano osservare perplessi un maiale appeso, da un aquilotto coronato da un motivo a palmette che si erge verso porte spalancate su antiche celle e da un curioso disegno turrito tracciato con il colore giallo che, probabilmente, ci mostra la piazza delle Erbe come doveva presentarsi a fine XV secolo, similmente ad una delle coeve tarsie realizzate da Giovanni Maria Platina in uno splendido armadio esposto oggi nel museo civico di Cremona.

*Le fotografie del Palazzo del Podestà di Mantova sono tratte da Google Arts & Culture

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