Nanino e Nanina
Nanino e Nanina
di Claudia Zerbinati
Nelle corti italiane
avere ai piedi del trono un nano era quasi un obbligo per un signore, un segno
di potere e distinzione. Anche per questo è piuttosto comune rinvenirne
testimonianze iconografiche: i loro padroni amavano inserirli nei quadri di
famiglia ed essi sovente vestivano vere e proprie «divise» dai colori
corrispondenti allo stemma della casata nobiliare sotto la quale servivano. Di
alcuni si sono poi tramandate in letteratura non solo il nome ma addirittura le
imprese, talvolta i misfatti e spesse volte le acrobazie verbali.
I nani di corte non erano
regolarmente retribuiti come avveniva in Francia con i “bouffons en titre
d’office”. La loro funzione molto di rado si limitava all’intrattenimento, anzi
essi potevano essere impiegati in servizi di ogni genere, occasionalmente
fungevano da scalchi, camerieri ed altre attività ancora più umili, incerti tra
mille mestieri che soltanto in pochi casi garantivano un reddito fisso e
stabilito. Per questo molto spesso erano costretti a sollecitare continuamente
una regalia, una giubba, una cavalcatura. Borso d’Este eterna l’insostituibile
Scocola (Buffonus Fidelissimus servitor) a Schifanoia mentre stende la mano al
suo benevolo signore per riceverne una moneta, avendo 12 figli da mantenere.
Il Duca di Milano
Francesco Sforza ringrazia Nicolò de Vitelensibus per il Nano Biagio,
scrivendogli il 3 settembre 1451 “Non vi poterissemo ringratiare a
compimento per Biasio nano, quale altre volte per vostra zintileza et libertate
ce mandasti, perché ogni dì più ne piace et più piacere et consolatione ne
pliamo”. Tuttavia, non pago, prosegue scrivendo “Et perché havimo
informatione ch’el c'è un altro suo fratello più nano et minore ancora che
questo, haverissemo singulare piacere poterlo havere fiducialmente.” Quando
suo figlio Ludovico il Moro, che ha tra i numerosi nani di corte il
linguacciuto Janachi tra i favoriti, si ammala, il re di Francia Luigi XII invia
il suo medico personale per curarlo, assieme ad un nano per allietarlo e fattolo
poi prigioniero, gli accorda di tenere con sé una Bibbia ed uno dei nani del
suo entourage.
Arrigo peloso, Pietro
matto e Amon nano sono i tre esotici personaggi
della corte di Odoardo Farnese, signore di Parma, ritratti da Agostino Carracci
ed ora a Capodimonte.
Si Maqian, antico storico
cinese, fu il primo a descrivere l’uso di Nani da corte nella cultura
orientale. Egli scrisse di You Zan, un Nano di corte all’epoca del primo
imperatore di Qin (259-210 a.C.). Il costume di tenere Nani a corte era già
invalso nella Roma imperiale, come fidi consiglieri ma anche per i
combattimenti. Si narrano meraviglie di un nano Zercone, che si assideva alla
mensa di Bleda, fratello di Attila e lo seguiva alla guerra chiuso in una armatura
accomodata per lui.
La corte papale vide
Paolo II, eletto il 30 agosto 1464, che in occasione del Carnevale Romano
decise di allestire “cortei bacchici, rappresentazioni mitologiche di numi, di
eroi di ninfe e di geni” e dalla loggia del suo palazzo – Palazzo Venezia –
volle essere primo spettatore delle corse dei nani. Papa Borgia reca seco dalla
sua terra natia tale Gabrielletus Bufo. Nel 1556 a servire ad un banchetto del
cardinal Vitelli, sono 34 nani.
Nella Visione della croce della Sala di Costantino in Vaticano, Giulio Romano ritrae il nano che reca il nome del personaggio dell’Orlando, Gradasso: si tratta del buffone del cardinale Ippolito De’ Medici, che compare nelle Rime del Pulci con il nome completo di Gradasso Berrettai da Norcia, che finirà i suoi giorni col condurre cavalli in dono per conto del marchese del Vasto alla corte di Filippo d’Austria nel 1548. Che si tratti di una colta citazione da parte dell’artista l’inserire un nano nella visione imperiale, essendo alla corte di Costantino il Grande un “nano non più grande di una starna” secondo lo storico Niceforo?
E la corte dei Gonzaga
non volle certo esser da meno…
Un grande dipinto a muro nella
Camera dei Capitani, nell’Appartamento Grande di Castello del Palazzo Ducale di
Mantova, vede al centro del Giuramento di Luigi Gonzaga primo capitano del
popolo dopo la presa del potere del 1328 il nano Framboldo con il suo
spadino. Celebrato in terza rima all’inizio del XV secolo nella Cronica de
Mantua da Bonamonte Aliprandi, pare fosse caro per il suo bel canto a
Filippino Gonzaga e si narra che abbia intrattenuto durante un banchetto
offertogli da Guido Gonzaga Francesco Petrarca, assiduo ospite dei nuovi
signori di Mantova.
Il marchese Gianfrancesco
Gonzaga commissiona a Pisanello il ciclo d’affreschi oggi visibili nell’omonima
sala del Palazzo Ducale, in cui gli eroi arturiani partecipano al Torneo di
Louverzerp: fra di loro il cavaliere dell'impresa del Graal, Bohort,
ipotetico antenato di casa Gonzaga. Ad indossare i colori della livrea
gonzaghesca (bianco, rosso e verde allusivi delle tre virtù teologali, fede,
speranza e carità) ed a sfoggiare sul voluminoso cappello l’impresa del
pellicano, emblema del suo signore, è un nano.
Andrea Mantegna nella
Camera Picta, già definita nel 1475, ovvero un anno dopo la conclusione
dell’opera, come “La più bella Camara del mondo”, celebra i marchesi di Mantova
Ludovico II Gonzaga e Barbara di Barndeburgo (che raccomandava nel
1458 alla duchessa Bianca Maria Sforza “Beatrisina de’ Gatti da Pavia matre de
messer Francischino mio nano”), ma il personaggio che fissa direttamente gli
occhi in quelli dello spettatore è una nana.
Si tratta di Lucia, che
figura nell’elenco che documenta coloro che accompagnano verso Urach la
quartogenita della coppia, Barbarina Gonzaga, subito dopo le nozze con Eberardo
I duca del Württemberg, unitamente al fratello Rodolfo e ad un seguito di oltre
settanta persone, due carrozze, quattro carri di bagagli, 217 cavalli e 30
bestie da soma.
Ogni volta che i Gonzaga primeggiano,
i
nani compaiono….
(Bernardino) Mattello di
Quistello è il prediletto dal Marchese Francesco Gonzaga: quando, impegnato come
al solito in battaglia, il condottiero Gaspare di Sanseverino lo chiede alla di
lui consorte Isabella d’Este, si sente opporre un rifiuto “…perché non
habiendo al presente altro piacere che de farlo detare lettere allo IiI.mo S.
nostro consorte, remaneressimo più fredde che uno giazzo, quando se privassimo
de lui, non havendo al presente altro buffone né matto da pigliare recreatione”.
Alla sua morte gli fu data sepoltura in San Francesco, accanto ai Gonzaga e
l’epitaffio recitava che “….Se ’l corpo exanimato requia in pace, lo spirto,
credo, che da lui diviso, tutto rider faccia ora il paradiso..”. Isabella
si contendeva con sua madre Eleonora d’Aragona e sua sorella Beatrice d’Este il
nano Diodato - le scrive Galeazzo Visconti d’una scampagnata con Diodato a
Milano che “…facendo tante pazie, ch’ormai io credo de havere fato questo
guadagno di essere magiore pazo che Dioda” – come pure il nano Frittella
(nei documenti spesso compare come Fertella, si chiamava Giovan Francesco dei
Corioni), entrambi ferraresi, oltre a Galasso francioso. “Galasso,
Giancristoforo e Diodato, ch’al patibol andiam pel malefizio. Da mille bolle è
ognun di noi signato, né mai ci donò il papa un benefizio, sì che ’1 nostro
sperar è disperato”: i due buffoni, appaiono nominati accanto al grande
scultore Gian Cristoforo Romano, uniti dai primi accenni a convertire in motivo
umoristico gli strazi del malfrancese, che non risparmiava né grandi, né
piccoli, né mezzani.
“L’ot di de maz del
mili quater cent novanta cent.” una curiosa letterina in dialetto, è
inviata da Mantova al marchese Francesco Gonzaga - impegnato nella Guerra
d’Italia - dal nanino Antonio da Trento che si raccomanda: “e prig senper
mesir domenedi per la V. S. che la faga vegnir sana a ca, e fo a mità de gandui
e de ferlin cum Lecabru, e n’om un contener de gandui e du contener de ferii n
e zugava cum el tos e si zugava cum ei lustrisi mesir Zoan da Gonzaga o si dun
Bernardin m’ insignava a inparar a cantar….. E
la va in man a lustremi signor nostro da Mantoa e se 1’ è guardador del re e se
l’è capitani generai del duca de Milan. El voster nanin Antoni da Trent e
cetera”. Il conte Lorenzo Strozzi scrive da Mantova a
Federico Gonzaga – “ospite” di Papa Giulio II – raccontando come “il Nanino
era vestito da vescovo, che pareva la più bella cosa del mondo et vine ad
incontrare il Duca (di Milano) con gran cirimonia che non fu mediocre piacere,
anzi da ridere ad ognuno”. Qualche giorno dopo prosegue riferendo le
prodezze del Nanino a caccia: “Egli fu legato a certa strope... aciò non
fugisse e poi fu fatto uscire dal bosco un capriolo. El capriolo, dete per
raezo dove stava dito Nanino et lui a sorte buttando le mane non so come nel
saltare del caprio restò a cavallo et animosamente se tenne”. Qualche mese
dopo Francesco non si mostra lieto della sua condotta: “Nanino, havemo
inteso li mali portamenti toi lì et quanta prosumptione et temerità usi in
battere li compagni et dirgli di villane parole... Però ti recordamo che havemo
ferri, manette et musarole per il bisogno tuo et di brevi so Dio vorà ni
trovaremo insieme et ni sforzeremo trovare remedio alla insolentia tua”. Il
14 dicembre 1515 narra Amico della Torre a Federico che “…a S. Sebastiano,
il giorno avanti, per divertire il marchese e la marchesa, si disse una solemne
messa lì in camera, che fu il Nanino, apparato da sacerdote, et disse quella di
nostra Donna, et lo evangelio fu quello di la genelogia sua: la qual missa lui
disse cura tanto ordine et bene, ch’io ho udito di le misse da preti che non
l’hanno celebrata cussi perfectamente, in modo che M.ma vostra matre et il S. M
vostro patre cum tutti li circumstanti ne piliorno grande spasso”. Due anni
dopo Nanino scrive “Signor Federico, per questa mia notifico a V. S. come lo
Ill. mo S. vostro padre me ha electo suo primo unigenito figliolo per li mei
boni deportamenti ed benemeriti, e spero quando V. S. sarà gionto a Mantua che
quella se ritrovarà in grandissimo erore pensando di essere tri fratelli e poi
essere quatro, e pegio che V. S. non è per haver altro dii patrimonio se non
Belzoioso al quale a questa hora ò manzato le intrate et fitto per l’avenir
poco avareti per essere tempestato, sì che V. S. facia nova provisione circha
al viver suo. Io mi saria pur alquanto inclinato a partecipare de lo amore e
grafia ho com el Signor nostro padre, ma V. S. me ne fa fuger la volia perché
quella me ha promesso una chinea e niente ho visto, né quella se la buta perhò
drieto a le spale perché omne promissura est debitum, e non fati perhò come
haveti fato deli cani mandati a lo S. nostro padre che sapemo perhò che l’è
stato la maestà del Re e non V. S., ma quelli dui haveti mandato al m. Ludovico
sapemo bene io aveti fato atiò facia lo rofiano com Sua Signoria per haver
qualche polidro a la venuta vostra. Questo pensiero vi andarà falito perchè il
sig. nostro padre è volpe vechia et à la barba bianca e longa a mezo al petto:
l’è reo vender a chi le conosce, io spero che sareti recambiato secondo sarà
stato li presenti per vui fati a sua S. Se ‘1 secorso mio non vi aiuta son
cèrto quella farà male. Apreso io mi ritrovo una raza ai par de quella del sig
nostro padre: cosa che son certo non ha V. S., da la qual gli ò cavato dui
poledri belissimi li quali se li havesse voluto vendere ne ho trovato cinque
livre de l’uno, ma li ò reservati se per caso Y. S. non ne potesse bavere,
secondo el pensier fato de participnr cum quella, purché la chinea venga a
casa. Nec alias, a Y. S. me aricomando, tutti ve aspetamo cum grandissimo
desiderio, eccepto el S. nostro padre perché Y. S. sia decaduta asai dii suo
amore, lontan da ochio, lontan da core. Nàninus”.
Nel 1522 la marchesa di
Mantova lo conduce a Ferrara e gli procura una compagna, che viene detta la Nanina:
Paola Arduini il 17 aprile 1525 informa la sua signora che “la Nanina sta
tanto bene et ò tanto bona quanto sia mai stata” ed il 16 maggio dice che
di continuo è in cianciare. » Il 15 gennaio 1528 la stessa Arduini scrive: “Lo
Nanino et Nanina stanno bene”. Quando la marchesa andò a Bologna per
assistere alla incoronazione di Carlo V, ordinò il 27 dicembre che le
mandassero da Mantova la Nanina. Troviamo poi nei copialettere questo biglietto
a Diana d’Este, dell’11 settembre 1532, in cui Isabella fa riferimento
probabilmente a Renata di Francia, figlia del Re e moglie di suo nipote Ercole II
d’Este: “Io promisi già quatro anni sono a M. m Ill. ma Renata di voler dare
a sua Ex. el primo fruto che uscisse della raza delli mei nanini, dico de
femina: et come V. S. sa, hormai sono dui anni che nacque una putina,la quale
anchora non dà speranza di dover restare in tutto cossi piccola come è la mia
Dellia, nondimeno senza alcun dubbio
rimanerà nana”.
È quest’ultima certo la
medesima nana che nel 1538, quando Vittoria Colonna si trovava a Ferrara,
sfoggiò agilità e grazia danzando alla presenza dell’austera marchesa di
Pescara: “Di poi entrando in certi balli saltò in mezzo Morgantino con la
signora Delia et fecero cose grandi delle lor personcine”, narra un
testimone oculare di quella festa di commiato, cui Isabella stessa assisteva. Morgantino
fu già con Isabella a Roma nel 1527, come si evince da un registro di spese in
cui risultano “para due di scharpe compre a Morgantino nano” ed “altre
tre para scarpe per Morgantino nano di Madama Ill. ma”. Tre anni dopo a
Venezia le riferisce Jacopo Malatesta che “Io ho visto esso Morgantino quale
sta benissimo e lo trovai che andava a schola dove dice aver principiato
d’andarvi ogni giorno”- perché i nani godono quasi sempre del privilegio
d’imparar a leggere e scrivere – e che “ tutti gli faceano carezze et
stavano stupefatti in considerare la persona sua, et danzò con esse molto
legiadramente di modo che lui era più guardato che altro vi fusse…Ad esso
Morgante dissi quanto la Ex. V. me commise circa il non volere obedire niuno:
elio arditamente me rispose alla presentia de multi del p to che era lì per
solazzo et non per fare gli servitij che a loro appartenea, di che ognuno se ne
arise..”. Di nuovo insieme nelle gite sul Lago di Garda, quando la marchesa
fece testamento diede splendida conferma dell’affetto per i suoi nani,
Morgantino e Delia : “Item essa signora Testatrice di buon cuore raccomanda
Morgantino al prefato Ill.mo S. Duca, et quando non potesse o non volesse stare
con sua Ex., vole che li dia scuti cinquanta per ogni anno fino che viva. Et
similmente molto raccomanda la Delia alla Ill.ma S.ra Duchessa sua nuora,
volendo che quando non volesse o non potesse stare con sua Ex. che quella li
dia scuti cinquanta ogni anno fino che viverà”. Morgantino e Delia
allietarono l’ultimo decennio della vita della illustre marchesana, ma cosa
sappiamo di loro? Braccio di Bartolo è il nano prediletto da Cosimo I a
Firenze, ritratto senza veli da Giambologna e da Bronzino nella tela ora a
Palazzo Pitti:
nominato Morgante come il
gigante protagonista dell’opera di Luigi Pulci ma vezzeggiato come Morgantino. Fuor
di dubbio fu nome bene indovinato per un nano, del resto l’affibbiare ai nani
per celia nomi di personaggi rinomati per forza e per grandezza fu cosa non
rara. Un nano della regina di Francia del 1579 si chiamava Rodomonte, un altro
Mandricardo, noti personaggi ariosteschi. Delia forse proveniva invece dalla
corte urbinate, dove Eleonora Gonzaga si era unita in matrimonio al Duca Francesco
Maria della Rovere.
I nani erano amati, in
quanto nani, come qualche cosa di diverso dagli altri uomini, quindi venivano trattati in modo speciale,
alternando i regali e le condiscendenze d’ogni genere, con le busse e gli
strazi più crudeli. Attori, giullari, buffoni, sempre con caratteristiche
fisiche esasperate, furono di fatto cortigiani, che seppero acquisire uno
spessore culturale e rivelarono un’umanità fuori dal comune.
Voi continuate pure ad
immaginarli nel loro Appartamento dei Nani a Palazzo Ducale, dove Gianni Rodari
li descrive poco prima di morire come piccoli ribelli a Capitan Bombarda,
infischiandosene di quanto scoperto un anno prima dallo studioso Renato
Berzaghi circa la reale funzione di quelle stanzine.
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