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mercoledì 19 agosto 2020

Nanino e Nanina

 Nanino e Nanina

di Claudia Zerbinati

Nelle corti italiane avere ai piedi del trono un nano era quasi un obbligo per un signore, un segno di potere e distinzione. Anche per questo è piuttosto comune rinvenirne testimonianze iconografiche: i loro padroni amavano inserirli nei quadri di famiglia ed essi sovente vestivano vere e proprie «divise» dai colori corrispondenti allo stemma della casata nobiliare sotto la quale servivano. Di alcuni si sono poi tramandate in letteratura non solo il nome ma addirittura le imprese, talvolta i misfatti e spesse volte le acrobazie verbali.

I nani di corte non erano regolarmente retribuiti come avveniva in Francia con i “bouffons en titre d’office”. La loro funzione molto di rado si limitava all’intrattenimento, anzi essi potevano essere impiegati in servizi di ogni genere, occasionalmente fungevano da scalchi, camerieri ed altre attività ancora più umili, incerti tra mille mestieri che soltanto in pochi casi garantivano un reddito fisso e stabilito. Per questo molto spesso erano costretti a sollecitare continuamente una regalia, una giubba, una cavalcatura. Borso d’Este eterna l’insostituibile Scocola (Buffonus Fidelissimus servitor) a Schifanoia mentre stende la mano al suo benevolo signore per riceverne una moneta, avendo 12 figli da mantenere.

Il Duca di Milano Francesco Sforza ringrazia Nicolò de Vitelensibus per il Nano Biagio, scrivendogli il 3 settembre 1451 “Non vi poterissemo ringratiare a compimento per Biasio nano, quale altre volte per vostra zintileza et libertate ce mandasti, perché ogni dì più ne piace et più piacere et consolatione ne pliamo”. Tuttavia, non pago, prosegue scrivendo “Et perché havimo informatione ch’el c'è un altro suo fratello più nano et minore ancora che questo, haverissemo singulare piacere poterlo havere fiducialmente.” Quando suo figlio Ludovico il Moro, che ha tra i numerosi nani di corte il linguacciuto Janachi tra i favoriti, si ammala, il re di Francia Luigi XII invia il suo medico personale per curarlo, assieme ad un nano per allietarlo e fattolo poi prigioniero, gli accorda di tenere con sé una Bibbia ed uno dei nani del suo entourage.

Arrigo peloso, Pietro matto e Amon nano sono i tre  esotici personaggi della corte di Odoardo Farnese, signore di Parma, ritratti da Agostino Carracci ed ora a Capodimonte.


Si Maqian, antico storico cinese, fu il primo a descrivere l’uso di Nani da corte nella cultura orientale. Egli scrisse di You Zan, un Nano di corte all’epoca del primo imperatore di Qin (259-210 a.C.). Il costume di tenere Nani a corte era già invalso nella Roma imperiale, come fidi consiglieri ma anche per i combattimenti. Si narrano meraviglie di un nano Zercone, che si assideva alla mensa di Bleda, fratello di Attila e lo seguiva alla guerra chiuso in una armatura accomodata per lui.

La corte papale vide Paolo II, eletto il 30 agosto 1464, che in occasione del Carnevale Romano decise di allestire “cortei bacchici, rappresentazioni mitologiche di numi, di eroi di ninfe e di geni” e dalla loggia del suo palazzo – Palazzo Venezia – volle essere primo spettatore delle corse dei nani. Papa Borgia reca seco dalla sua terra natia tale Gabrielletus Bufo. Nel 1556 a servire ad un banchetto del cardinal Vitelli, sono 34 nani.

Nella Visione della croce della Sala di Costantino in Vaticano, Giulio Romano ritrae il nano che reca il nome del personaggio dell’Orlando, Gradasso: si tratta del buffone del cardinale Ippolito De’ Medici, che compare nelle Rime del Pulci con il nome completo di Gradasso Berrettai da Norcia, che finirà i suoi giorni col condurre cavalli in dono per conto del marchese del Vasto alla corte di Filippo d’Austria nel 1548. Che si tratti di una colta citazione da parte dell’artista l’inserire un nano nella visione imperiale, essendo alla corte di Costantino il Grande un “nano non più grande di una starna” secondo lo storico Niceforo?

E la corte dei Gonzaga non volle certo esser da meno…

Un grande dipinto a muro nella Camera dei Capitani, nell’Appartamento Grande di Castello del Palazzo Ducale di Mantova, vede al centro del Giuramento di Luigi Gonzaga primo capitano del popolo dopo la presa del potere del 1328 il nano Framboldo con il suo spadino. Celebrato in terza rima all’inizio del XV secolo nella Cronica de Mantua da Bonamonte Aliprandi, pare fosse caro per il suo bel canto a Filippino Gonzaga e si narra che abbia intrattenuto durante un banchetto offertogli da Guido Gonzaga Francesco Petrarca, assiduo ospite dei nuovi signori di Mantova.


Il marchese Gianfrancesco Gonzaga commissiona a Pisanello il ciclo d’affreschi oggi visibili nell’omonima sala del Palazzo Ducale, in cui gli eroi arturiani partecipano al Torneo di Louverzerp: fra di loro il cavaliere dell'impresa del Graal, Bohort, ipotetico antenato di casa Gonzaga. Ad indossare i colori della livrea gonzaghesca (bianco, rosso e verde allusivi delle tre virtù teologali, fede, speranza e carità) ed a sfoggiare sul voluminoso cappello l’impresa del pellicano, emblema del suo signore, è un nano.

 



 

Andrea Mantegna nella Camera Picta, già definita nel 1475, ovvero un anno dopo la conclusione dell’opera, come “La più bella Camara del mondo”, celebra i marchesi di Mantova Ludovico II Gonzaga e Barbara di Barndeburgo (che raccomandava nel 1458 alla duchessa Bianca Maria Sforza “Beatrisina de’ Gatti da Pavia matre de messer Francischino mio nano”), ma il personaggio che fissa direttamente gli occhi in quelli dello spettatore è una nana.



Si tratta di Lucia, che figura nell’elenco che documenta coloro che accompagnano verso Urach la quartogenita della coppia, Barbarina Gonzaga, subito dopo le nozze con Eberardo I duca del Württemberg, unitamente al fratello Rodolfo e ad un seguito di oltre settanta persone, due carrozze, quattro carri di bagagli, 217 cavalli e 30 bestie da soma.

Ogni volta che i Gonzaga primeggiano, i nani compaiono….

(Bernardino) Mattello di Quistello è il prediletto dal Marchese Francesco Gonzaga: quando, impegnato come al solito in battaglia, il condottiero Gaspare di Sanseverino lo chiede alla di lui consorte Isabella d’Este, si sente opporre un rifiuto “…perché non habiendo al presente altro piacere che de farlo detare lettere allo IiI.mo S. nostro consorte, remaneressimo più fredde che uno giazzo, quando se privassimo de lui, non havendo al presente altro buffone né matto da pigliare recreatione”. Alla sua morte gli fu data sepoltura in San Francesco, accanto ai Gonzaga e l’epitaffio recitava che “….Se ’l corpo exanimato requia in pace, lo spirto, credo, che da lui diviso, tutto rider faccia ora il paradiso..”. Isabella si contendeva con sua madre Eleonora d’Aragona e sua sorella Beatrice d’Este il nano Diodato - le scrive Galeazzo Visconti d’una scampagnata con Diodato a Milano che “…facendo tante pazie, ch’ormai io credo de havere fato questo guadagno di essere magiore pazo che Dioda” – come pure il nano Frittella (nei documenti spesso compare come Fertella, si chiamava Giovan Francesco dei Corioni), entrambi ferraresi, oltre a Galasso francioso. “Galasso, Giancristoforo e Diodato, ch’al patibol andiam pel malefizio. Da mille bolle è ognun di noi signato, né mai ci donò il papa un benefizio, sì che ’1 nostro sperar è disperato”: i due buffoni, appaiono nominati accanto al grande scultore Gian Cristoforo Romano, uniti dai primi accenni a convertire in motivo umoristico gli strazi del malfrancese, che non risparmiava né grandi, né piccoli, né mezzani.

L’ot di de maz del mili quater cent novanta cent.” una curiosa letterina in dialetto, è inviata da Mantova al marchese Francesco Gonzaga - impegnato nella Guerra d’Italia - dal nanino Antonio da Trento che si raccomanda: “e prig senper mesir domenedi per la V. S. che la faga vegnir sana a ca, e fo a mità de gandui e de ferlin cum Lecabru, e n’om un contener de gandui e du contener de ferii n e zugava cum el tos e si zugava cum ei lustrisi mesir Zoan da Gonzaga o si dun Bernardin m’ insignava a inparar a cantar….. E la va in man a lustremi signor nostro da Mantoa e se 1’ è guardador del re e se l’è capitani generai del duca de Milan. El voster nanin Antoni da Trent e cetera”. Il conte Lorenzo Strozzi scrive da Mantova a Federico Gonzaga – “ospite” di Papa Giulio II – raccontando come “il Nanino era vestito da vescovo, che pareva la più bella cosa del mondo et vine ad incontrare il Duca (di Milano) con gran cirimonia che non fu mediocre piacere, anzi da ridere ad ognuno”. Qualche giorno dopo prosegue riferendo le prodezze del Nanino a caccia: “Egli fu legato a certa strope... aciò non fugisse e poi fu fatto uscire dal bosco un capriolo. El capriolo, dete per raezo dove stava dito Nanino et lui a sorte buttando le mane non so come nel saltare del caprio restò a cavallo et animosamente se tenne”. Qualche mese dopo Francesco non si mostra lieto della sua condotta: “Nanino, havemo inteso li mali portamenti toi lì et quanta prosumptione et temerità usi in battere li compagni et dirgli di villane parole... Però ti recordamo che havemo ferri, manette et musarole per il bisogno tuo et di brevi so Dio vorà ni trovaremo insieme et ni sforzeremo trovare remedio alla insolentia tua”. Il 14 dicembre 1515 narra Amico della Torre a Federico che “…a S. Sebastiano, il giorno avanti, per divertire il marchese e la marchesa, si disse una solemne messa lì in camera, che fu il Nanino, apparato da sacerdote, et disse quella di nostra Donna, et lo evangelio fu quello di la genelogia sua: la qual missa lui disse cura tanto ordine et bene, ch’io ho udito di le misse da preti che non l’hanno celebrata cussi perfectamente, in modo che M.ma vostra matre et il S. M vostro patre cum tutti li circumstanti ne piliorno grande spasso”. Due anni dopo Nanino scrive “Signor Federico, per questa mia notifico a V. S. come lo Ill. mo S. vostro padre me ha electo suo primo unigenito figliolo per li mei boni deportamenti ed benemeriti, e spero quando V. S. sarà gionto a Mantua che quella se ritrovarà in grandissimo erore pensando di essere tri fratelli e poi essere quatro, e pegio che V. S. non è per haver altro dii patrimonio se non Belzoioso al quale a questa hora ò manzato le intrate et fitto per l’avenir poco avareti per essere tempestato, sì che V. S. facia nova provisione circha al viver suo. Io mi saria pur alquanto inclinato a partecipare de lo amore e grafia ho com el Signor nostro padre, ma V. S. me ne fa fuger la volia perché quella me ha promesso una chinea e niente ho visto, né quella se la buta perhò drieto a le spale perché omne promissura est debitum, e non fati perhò come haveti fato deli cani mandati a lo S. nostro padre che sapemo perhò che l’è stato la maestà del Re e non V. S., ma quelli dui haveti mandato al m. Ludovico sapemo bene io aveti fato atiò facia lo rofiano com Sua Signoria per haver qualche polidro a la venuta vostra. Questo pensiero vi andarà falito perchè il sig. nostro padre è volpe vechia et à la barba bianca e longa a mezo al petto: l’è reo vender a chi le conosce, io spero che sareti recambiato secondo sarà stato li presenti per vui fati a sua S. Se ‘1 secorso mio non vi aiuta son cèrto quella farà male. Apreso io mi ritrovo una raza ai par de quella del sig nostro padre: cosa che son certo non ha V. S., da la qual gli ò cavato dui poledri belissimi li quali se li havesse voluto vendere ne ho trovato cinque livre de l’uno, ma li ò reservati se per caso Y. S. non ne potesse bavere, secondo el pensier fato de participnr cum quella, purché la chinea venga a casa. Nec alias, a Y. S. me aricomando, tutti ve aspetamo cum grandissimo desiderio, eccepto el S. nostro padre perché Y. S. sia decaduta asai dii suo amore, lontan da ochio, lontan da core. Nàninus”.

Nel 1522 la marchesa di Mantova lo conduce a Ferrara e gli procura una compagna, che viene detta la Nanina: Paola Arduini il 17 aprile 1525 informa la sua signora che “la Nanina sta tanto bene et ò tanto bona quanto sia mai stata” ed il 16 maggio dice che di continuo è in cianciare. » Il 15 gennaio 1528 la stessa Arduini scrive: “Lo Nanino et Nanina stanno bene”. Quando la marchesa andò a Bologna per assistere alla incoronazione di Carlo V, ordinò il 27 dicembre che le mandassero da Mantova la Nanina. Troviamo poi nei copialettere questo biglietto a Diana d’Este, dell’11 settembre 1532, in cui Isabella fa riferimento probabilmente a Renata di Francia, figlia del Re e moglie di suo nipote Ercole II d’Este: “Io promisi già quatro anni sono a M. m Ill. ma Renata di voler dare a sua Ex. el primo fruto che uscisse della raza delli mei nanini, dico de femina: et come V. S. sa, hormai sono dui anni che nacque una putina,la quale anchora non dà speranza di dover restare in tutto cossi piccola come è la mia Dellia, nondimeno  senza alcun dubbio rimanerà nana”.

È quest’ultima certo la medesima nana che nel 1538, quando Vittoria Colonna si trovava a Ferrara, sfoggiò agilità e grazia danzando alla presenza dell’austera marchesa di Pescara: “Di poi entrando in certi balli saltò in mezzo Morgantino con la signora Delia et fecero cose grandi delle lor personcine”, narra un testimone oculare di quella festa di commiato, cui Isabella stessa assisteva. Morgantino fu già con Isabella a Roma nel 1527, come si evince da un registro di spese in cui risultano “para due di scharpe compre a Morgantino nano” ed “altre tre para scarpe per Morgantino nano di Madama Ill. ma”. Tre anni dopo a Venezia le riferisce Jacopo Malatesta che “Io ho visto esso Morgantino quale sta benissimo e lo trovai che andava a schola dove dice aver principiato d’andarvi ogni giorno”- perché i nani godono quasi sempre del privilegio d’imparar a leggere e scrivere – e che “ tutti gli faceano carezze et stavano stupefatti in considerare la persona sua, et danzò con esse molto legiadramente di modo che lui era più guardato che altro vi fusse…Ad esso Morgante dissi quanto la Ex. V. me commise circa il non volere obedire niuno: elio arditamente me rispose alla presentia de multi del p to che era lì per solazzo et non per fare gli servitij che a loro appartenea, di che ognuno se ne arise..”. Di nuovo insieme nelle gite sul Lago di Garda, quando la marchesa fece testamento diede splendida conferma dell’affetto per i suoi nani, Morgantino e Delia : “Item essa signora Testatrice di buon cuore raccomanda Morgantino al prefato Ill.mo S. Duca, et quando non potesse o non volesse stare con sua Ex., vole che li dia scuti cinquanta per ogni anno fino che viva. Et similmente molto raccomanda la Delia alla Ill.ma S.ra Duchessa sua nuora, volendo che quando non volesse o non potesse stare con sua Ex. che quella li dia scuti cinquanta ogni anno fino che viverà”. Morgantino e Delia allietarono l’ultimo decennio della vita della illustre marchesana, ma cosa sappiamo di loro? Braccio di Bartolo è il nano prediletto da Cosimo I a Firenze, ritratto senza veli da Giambologna e da Bronzino nella tela ora a Palazzo Pitti:


nominato Morgante come il gigante protagonista dell’opera di Luigi Pulci ma vezzeggiato come Morgantino. Fuor di dubbio fu nome bene indovinato per un nano, del resto l’affibbiare ai nani per celia nomi di personaggi rinomati per forza e per grandezza fu cosa non rara. Un nano della regina di Francia del 1579 si chiamava Rodomonte, un altro Mandricardo, noti personaggi ariosteschi. Delia forse proveniva invece dalla corte urbinate, dove Eleonora Gonzaga si era unita in matrimonio al Duca Francesco Maria della Rovere.

I nani erano amati, in quanto nani, come qualche cosa di diverso dagli altri uomini, quindi  venivano trattati in modo speciale, alternando i regali e le condiscendenze d’ogni genere, con le busse e gli strazi più crudeli. Attori, giullari, buffoni, sempre con caratteristiche fisiche esasperate, furono di fatto cortigiani, che seppero acquisire uno spessore culturale e rivelarono un’umanità fuori dal comune.

Voi continuate pure ad immaginarli nel loro Appartamento dei Nani a Palazzo Ducale, dove Gianni Rodari li descrive poco prima di morire come piccoli ribelli a Capitan Bombarda, infischiandosene di quanto scoperto un anno prima dallo studioso Renato Berzaghi circa la reale funzione di quelle stanzine.

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