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giovedì 17 settembre 2020

Il Paradiso in casa

 Manto di Luna

Hortus conclusus: il Paradiso in casa

 

Anastasia Malacarne e Claudia Zerbinati

 

Con la caduta dell’Impero Romano e le invasioni delle popolazioni barbariche, i monasteri dell’Europa cristiana assurgono a custodi della cultura classica, di cui fa parte anche il bagaglio di conoscenze relative alle pratiche agricole e alle cognizioni botaniche fino ad allora acquisite. Grazie alle comunità monastiche questo sapere viene salvaguardato e tramandato, ma soprattutto messo in pratica dai monaci, che fanno dei centri monastici luoghi di spiritualità e cultura, ma anche di produzione e lavoro. Le abbazie divengono così, in breve tempo, potenti complessi caratterizzati da robusti edifici impreziositi da raffinate architetture, in cui gli spazi sono attentamente studiati e razionalmente definiti. Fondamentale, nell’organizzazione di conventi e monasteri, è il ruolo dell’orto e del giardino.

 


Antiche simbologie

Il giardino, nel mondo cristiano medievale, è associato all’immagine che ne viene offerta dalle Sacre Scritture. Paradiso, termine di origine persiana, è traducibile letteralmente con “orto recintato, giardino”, ed indica un luogo di delizie, una riserva di caccia, ambiente ideale della restaurazione alla fine dei tempi. La visione del paradiso si traduce in diverse forme, riconducibili ai tre giardini scritturali: l’Eden, giardino piantato da Dio stesso per l’uomo, è il luogo in cui il genere umano ha origine, ed è il paradiso in terra. Il cosiddetto hortus conclusus, un giardino chiuso e protetto, è nel Cantico dei Cantici il simbolo della sposa. Infine, è ancora un giardino ad accogliere Gesù in meditazione prima dell’arresto, e a custodire poi il suo sepolcro.

E’ il sogno di un giardino simile, luogo di eterna giovinezza e salute e di perfezione divina, a spingere l’uomo medievale a tentare di riprodurlo sul modello descritto nei testi sacri, in cui abbondano alberi da frutto, fiori profumati, fontane, ruscelli, uccelli cinguettanti, in cui regna l’ordine e l’armonia. Il luogo per eccellenza in cui tale identificazione può compiersi è il monastero.

 

Il giardino dei semplici

L’hortus conclusus si ripropone come luogo privilegiato all’interno degli spazi chiusi ed esclusivi dei monasteri, protetti da poderosi muri che li separano dal mondo esterno. Il giardino o orto ricopre infatti due funzioni ben precise: la prima, pratica, è di assicurare ai monaci quei prodotti utili non soltanto al sostentamento, ma anche alla salute della comunità, attraverso la coltivazione di piante medicinali. La seconda funzione, più spirituale, è quella di richiamare i simboli teologici cristiani: ecco dunque la fontana, simbolo del Cristo fons vitae, e l’albero della vita al centro del giardino, da cui si dipartono quattro vie o bacini d’acqua che non sono altro che i quattro fiumi del mondo descritti nella Genesi e che alludono al liquido amniotico, immagine dell’Oceano primordiale dove la vita ha avuto origine.

L’orto monastico si divide in hortus sanitatis, hortus holerorum e aromatarium. C’era poi il pomarium, con gli alberi da frutto e gli ortaggi, e il viridarium, con le specie arboree perenni. L’hortus sanitatis o hortus simplicium è lo spazio in cui si coltivano e si studiano i “semplici”, che nel linguaggio del Medioevo stanno ad indicare quei principi curativi derivanti direttamente dalla natura, a differenza dei “compositi” che erano medicamenti ottenuti mescolando ed elaborando sostanze diverse attraverso processi come la cottura, la macerazione, l’essicazione, l’infusione. Tali preparazioni avvenivano nel laboratorio denominato “officina”, da cui il termine “piante officinali”. Non dimentichiamo infatti che i monaci benedettini spesso si dedicarono alla cura dei malati creando strutture apposite denominate hospitia.

Gli stessi frutti e fiori coltivati nei giardini medievali sono caricati di valenze simboliche: la rosa non può mai mancare, in quanto simbolo mistico della Vergine, il giglio immagine di purezza e povertà, le violette simbolo di umiltà, la melagrana che rappresenta l’unità della chiesa, il fico metafora della fertilità e della salvezza, l’olivo simbolo della pace e addirittura il trifoglio, immagine della Trinità.

 


L’orto di Carlo Magno

Al capitolo 70 del Capitulare de villis, Carlo Magno nomina i 73 ortaggi e 16 alberi che voleva fossero coltivati nelle sue terre: «Vogliamo che nell’orto sia coltivata ogni possibile pianta, cioè: il giglio, le rose, il fieno greco, la balsamita, la salvia, la ruta, l’abrotano, i cetrioli, i meloni, le zucche, il fagiolo, il cumino, il rosmarino, il cumino dei prati, i ceci, la scilla, il gladiolo, il dragoncello, l’anice, i coloquintidi, la calendula, la visnaga, la sedanina, la lattuga, il cumino nero, la rughetta, il nasturzio, la bardana, la menta poleggio, il macerone, il prezzemolo, il sedano, il levistico, il ginepro, l’aneto, il finocchio, la cicoria, il dittamo, la senape, la santoreggia, il sisimbrio, la menta, il mentastro, il tanaceto, l’erba gattaia, la camomilla, il papavero, la barbabietola, il nardo selvatico, la malva muschiata, l’altea, la malva, le carote, le pastinache, il bietolone, gli amaranti, il cavolo-rapa, i cavoli, le cipolle, l’erba cipollina, i porri, il rafano, lo scalogno, la cipolla d’inverno, l’aglio, la robbia, i cardi, le fave, i piselli, il coriandolo, il cerfoglio, l’euforbia, l'erba moscatella. E l’ortolano faccia crescere sul tetto della sua abitazione la barba di Giove. Quanto agli alberi, vogliamo ci siano frutteti di vario genere: meli cotogni, noccioli, mandorli, gelsi, lauri, pini, fichi, noci, ciliegi di vari tipi. Nomi di mela: gozmaringa, geroldinga, crevedella, spiranca, dolci, acri, tutte quelle di lunga durata e quelle da consumare subito e le primaticce. Tre o quattro tipi di pere a lunga durata, quelle dolci, quelle da cuocere, le tardive.». Grazie a questa grande riforma dell’agricoltura e delle corti rurali voluta dall’Imperatore, viene progettato così già nell’Alto Medioevo un orto/giardino (la distinzione rimarrà labile fino almeno al XII-XII sec.) con fiori, erbe e piante, sia officinali che utili all’alimentazione, specie spesso oggi rarissime.

 

Chiostro di San Simeone - San Benedetto Po

A Mantova: un monastero ed una reggia

A San Benedetto Po, in provincia di Mantova, sorge uno straordinario complesso monastico benedettino, San Benedetto di Polirone, fondato da Tedaldo di Canossa nel 1007 e amatissimo dalla contessa Matilde di Canossa che proprio qui volle essere sepolta. Anche il santo eremita Simeone, qui si fermò e morì nel 1016. Nota per la sua ricchezza, l’abbazia vide in seguito la presenza di artisti come Correggio, Giulio Romano, Antonio Begarelli, Paolo Veronese. Nel chiostro di San Simeone si trovava il giardino dei semplici, dove si affacciava, non a caso, l’infermeria. Determinati tipi di erbe, inoltre, erano coltivate per ottenere colori ed inchiostri per i codici miniati che venivano realizzati nello scriptorium.

Dai monasteri l’usanza di coltivare le piante officinali si diffuse anche nelle corti, e ancora oggi, in Palazzo Ducale a Mantova, è possibile ammirare la versione gonzaghesca del giardino dei semplici, opera del botanico naturalista Fra’ Zenobio Bocchi, che lo progetta per il duca Vincenzo I Gonzaga dividendolo in quatto aiuole in cui erano coltivate erbe officinali che si pensava equilibrassero i quattro temperamenti individuati dalla medicina del XVI secolo: flemmatico, collerico, malinconico e sanguigno. Scienza, filosofia, magia, astrologia, alchimia e superstizione si fondono in questa parte della reggia ducale, dove si facevano esperimenti proibiti per compiacere l’esigente duca, sempre alla ricerca di qualche nuovo miracoloso preparato per ottenere ricchezza, virilità, guarigione.


Giardino dei semplici - Palazzo Ducale di Mantova

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