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giovedì 10 giugno 2021

Acqua

 

Acqua

di Claudia Zerbinati

L’acqua, fin dalle civiltà di Egizi e Sumeri, viene considerata principio creatore di tutte le cose.

I rituali religiosi assegnano immediatamente una forte componente simbolica a questo elemento, che permarrà anche in ambito cristiano.

Le persone benestanti avevano al loro servizio servi cui era affidato il compito di versare l'acqua sulle loro mani, oltre che su altre parti del corpo. Ben presto si consolida l’uso di “profumare” queste acque.

Ad oggi sono giunte a noi preziose suppellettili destinate all’uso dell’acqua sia in ambito religioso che domestico.


Mantova, Palazzo Te, Collezione Egizia G. Acerbi, Versatoio e Catino, III millennio a.C.

La curiosa forma curva del versatoio bronzeo, risalente alla fine dell’Antico Regno, esposto alla Collezione Egizia Giuseppe Acerbi a Palazzo Te di Mantova, suggerisce che questo oggetto dal profilo semplice ed elegante potesse anche assolvere alla funzione di attingitoio, come dimostrerebbe la copertura della prima parte del canale per adibirlo a manico dell’utensile; non meno sorprendente è l’armoniosa forma svasata del catino ricavata da un’unica lamina.

Oltre che in funzione igienica per purificare il corpo, l’acqua viene utilizzata anche come vero e proprio cosmetico: acque ed oli profumati venivano ottenuti con lenti procedimenti artigianali di macerazione ed estrazione dell’essenza da piante aromatiche, legni e resine.


Su di una tavoletta redatta a caratteri cuneiformi, datata attorno al 1200 a.C, appare il nome di quello che è stato definito il primo chimico della storia di cui si abbia prova certa: Tapputi-Belatekallim. Si trattava di una donna babilonese, sovrintendente al Palazzo Reale, cui era stato affidato il compito di ricercatrice: ella sperimentò la distillazione di fiori (olio e calamo aromatico, cyperus , mirra e balsamo) che filtrava e ridistillava per più volte.

Raccogliendo l’eredità orientale e quella ellenistica, i Romani continuano ad associare le acque profumate tanto alla sfera sacra quanto a quella profana e conviviale. Durante le rappresentazioni teatrali ed anfiteatrali, oltre al velarium, teso sugli spettatori per ripararli dal sole, era previsto un impianto idrico collegato ad un bacino per la raccolta delle acque, che serviva a spruzzare getti d'acqua odorose sia per proteggerli dalla calura estiva, sia per attenuare possibili odori sgradevoli. Sono Lucrezio e Plinio a descriverci le sparsiones, vale a dire queste tecniche raffinate in uso nei teatri romani a beneficio tanto degli attori quanto del pubblico. A Pompei tali gocce di acque odorose e di polveri aromatiche sembra fossero a base di rosso croco e di profumo di rosa. Le acque profumate (per lo più insieme a petali di rosa e viole) erano spesso utilizzate per profumare le sale dei banchetti ed i commensali.


Roma, Casa della Farnesina, fanciulla che versa il profumo in un’ampolla (I secolo a.C.)

In Occidente, a partire dal V secolo d.C., dopo la caduta dell’Impero Romano e con l’inizio delle invasioni barbariche, parte delle conoscenze scientifiche acquisite nei secoli precedenti vanno perse; tuttavia, grazie ai fitti scambi commerciali con l’Oriente, la storia dell’acqua profumata continua anche durante i secoli bui del primo Medioevo. L’incenso continua ad essere usato anche al di fuori dei riti sacri legati al cattolicesimo, e gli aromi sono scambiati come doni preziosi tra potenti. Sebbene il metodo d’utilizzo dell’alambicco (apparecchio per la distillazione) fosse conosciuto sin dall’antichità, una delle sue prime descrizioni appare ne “Il libro del profumo e della distillazione” scritto dal chimico arabo Al-Kindi (Alkindus). Questo manuale contiene oltre un centinaio di ricette per la preparazione degli oli, dei balsami e delle acque profumate. Sarà successivamente il filosofo, scrittore e chimico iraniano Ibn Sina (Avicenna) a reintrodurre il processo di estrazione dell’olio dai fiori tramite la distillazione. Avicenna incominciò tale processo di estrazione a partire dalle rose; la sua creazione – l’acqua di rose – divenne estremamente popolare, essendo più delicata e più facile da usare rispetto ai miscugli pesanti di olii ed erbe ed ai petali macinati.

Come conseguenza delle Crociate, rifiorisce il commercio di profumi da Oriente ad Occidente e la distribuzione di merci preziose in Europa passa soprattutto da Venezia. Fiori, piante aromatiche ed oli essenziali venivano usati per profumare sia l’acqua per il bagno che quella per lavarsi le mani prima di un banchetto. In particolare, nelle sale da convivio si preparavano bacinelle d’acqua in cui si aggiungevano petali di rosa e di viola, oppure si infondevano salvia, camomilla o rosmarino.

Scorriamo il Liber magne nobilissime et notabilissime curie, un documento redatto da un ignoto notaio in 18 fogli, attinente il quadruplice matrimonio Gonzaga (Luigi I Gonzaga e Giovanna Novella Malaspina, il figlio Corrado Gonzaga con Margherita Beccaria, e due nipoti dello stesso Luigi, Ugolino con Verde della Scala – sorella di Mastino II e Tommasina con Azzo da Correggio) avvenuto il 2 febbraio 1340 a Mantova, in occasione delle quali ben 11 Gonzaga vennero nominati cavalieri, per scoprire i doni nuziali. Oltre a cavalli ed abiti, ricorrente è il vasellame: sette i bronzini d’argento, ovvero gli acquamanili o brocche, solitamente appaiati ai bacini perché impiegati nell’importante momento del lavacro delle mani che precede il pasto e ne intervalla le portate, la cui grande valenza simbolica è sottolineata dall’impiego di metalli nobili o materiali pregiati come il cristallo. Essi vengono offerti ai Gonzaga, allora neo Capitani del popolo, dai fiduciari, cancellieri ed ufficiali del Comune ed il notaio ne riporta il peso, il costo e la provenienza.

Già dal 1221 a Firenze i frati domenicani della farmacia conventuale di Santa Maria Novella, nella convinzione che i profumi possano contrastare efficacemente il diffondersi di peste e sifilide, si dedicano anche all’arte cosmetica. La prima evidenza di produzione delle acque profumate risale al 1381 con l’Acqua di rose, venduta inizialmente come disinfettante e la famosissima aqua di gilio.

Firenze, Via della Scala 16, Antica Spezieria di S. M. Novella,

Sagrestia dell’ex Cappella di San Niccolò, Passione di Cristo di Mariotto di Nardo di Cione, XV secolo

L’Officina di Santa Maria Novella è la farmacia storica più antica d'Europa ed uno degli esercizi commerciali più antichi in assoluto: una delle stanze di maggior pregio dell'intero complesso architettonico, è la Sagrestia, conosciuta anche come "Stanza delle Acque", per essere stata fin dal XVII secolo il luogo in cui si conservavano le acque distillate. I frati coltivavano le piante medicamentose (i semplici, da cui deriva il nome del giardino dei Semplici) in un orto attiguo, distillavano erbe e fiori, preparavano essenze, elisirpomatebalsami. Il giardino dei semplici riforniva principalmente la più vicina e gemella Farmacia di San Marco anch'essa fondata e gestita dai frati domenicani

Le decadi della peste nera furono particolarmente dure per le popolazioni afflitte: fu per questo motivo che i frati domenicani distillarono come detto l'Acqua di Rose, acqua che al tempo veniva utilizzata sia per sanificare gli ambienti che per la cura della persona, assumendola anche insieme al vino o in pillole. Quando, nel 1533, una giovanissima Caterina de’ Medici lascia Firenze per andare in sposa al futuro re di Francia, vuole nel suo seguito – fra paggi, guardie e dame - anche un profumiere. Si chiamava Renato Bianco, ed a Parigi divenne tanto famoso da aprire una bottega di profumiere nella centralissima Pont Saint Michel per la ricca aristocrazia, con il nome di René le Florentin. Si racconta che le camere della regina ed il laboratorio del fiorentino - altrettanto abile nella preparazione dei veleni - fossero connessi da un corridoio segreto; tutti questi stratagemmi erano volti ad evitare qualunque rischio d’uscita dal palazzo di quelle preziose ricette, come l’acqua profumata a base di essenze di agrumi con una predominanza di bergamotto di Calabria.

Si narra che così sia nata l'Acqua di Santa Maria Novella o Acqua della Regina. Originariamente chiamata "acqua antisterica", questa specialità di Santa Maria Novella è una particolare miscela di principi essenziali di sceltissime piante aromatiche quali la balsamite, la menta e la cannella di Ceylon, conosciute per le loro proprietà benefiche e rinfrescanti. La formula originale fu rielaborata nel 1614 dal frate Angiolo Marchissi.


Nel XIV secolo la scienza del profumo e l’arte della preparazione del profumo, con l’espansione dell’Islam penetra anche in Europa e si producono le acque profumate, come l’acqua damaschina, a base delle aulentissime rose damascene.

Nella decima novella dell’ottava giornata del “Decamerone”, Boccaccio immagina gli incontri amorosi preceduti da bagni profumati: “E tratti dal paniere oricanni d’ariento bellissimi e pieni qual d’acqua rosa, qual d’acqua di fior d’aranci, qual d’acqua di fiori di gelsomino e qual d’acqua nanfa, tutti costoro di queste acque spruzzano”.

Nanfa (o lanfa) dall’arabo nafḥa (odore, profumo) è l’acqua profumata estratta per distillazione dai fiori di arancio (se le arance erano amare il profumo era più intenso): da 1000 chili di fiori recisi a mano si ricavava 1 litro di quell’essenza denominata neroli, a partire dal ‘700, dal nome del feudo del marito della nobile Marie Anne de La Trèmoille, principessa Orsini, che cospargeva del profumo delle zagare tutti i suoi oggetti.

Uno dei primi profumi moderni è stato creato nel 1370, su richiesta di Elisabetta, regina d’Ungheria, ma l’acqua della regina d’Ungheria, miscuglio di essenze di rosmarino, macerate nell’alcool, si è rivelato anche un rimedio eccezionale per i reumatismi.

A ffare odore: tò buona acqua rosa e mòllatene le mani, di poi togli del fior di spigo e fregatelo fra l’una mano e l’altra, ed è buono”. Si tratta della ricetta del profumo di rose, scritta da Leonardo, ben celata tra le righe del Codice Atlantico, un profumo di rose e lavanda, che secondo lui dovevano essere sciolte insieme in un solo gesto con mano sapiente. Sappiamo che Leonardo utilizzava molto i petali dei fiori ma anche macinare tra loro i gambi delle piccole piante che riteneva potessero dare la profumazione e tra queste troviamo i fiori di arancio amaro, il gelsomino bianco e la lavanda.

 


Caterina Sforza, signora di Forlì, dotata di grande personalità e bellezza, studiosa di farmacia, di medicina, di chimica e profumeria, mette per iscritto le 454 ricette dei suoi “experimenti”, sessanta delle quali sono relative ai cosmetici usati per “lisciarsi”, cioè per curare l'estetica del volto, della pelle e dei capelli. Una di queste viene ripresa da Giovan Ventura Rosetti nel suo libro sull'arte dei profumi, pubblicato a Venezia nel 1555, quando ci parla di “un'acqua mirabile per donna”, ottima per lavare il viso, le mani e tutta la persona, da usare due o tre volte la settimana, poiché “fa la carne giovinetta, et mantiene in sanità chi se laverà con quest'acqua”. Si tenga conto che nel corso del Rinascimento, con l'introduzione dei profumi a base alcolica, come l'acqua di rose o di altri fiori, si potevano avere a disposizione degli efficaci antisettici, da utilizzare anche nei casi in cui occorreva disperdere gli odori corporali sgradevoli, considerati potenzialmente nocivi. Inoltre, può essere utile ricordare che, opportunamente diluite, queste ed altre acque servivano per profumare persino grandi ambienti: a Ferrara, per esempio, il duca Ercole I d'Este nel 1499 aveva fatto profumare la Sala Grande del palazzo Ducale dopo la rappresentazione de l'Eunuchus di Terenzio, seguita da centinaia di persone. In molti casi le acque profumate erano preferite al sapone (a volte troppo alcalino o troppo caustico). Erano diversi in epoca estense gli ambienti deputati al piacere e alla salute del corpo, basti pensare ai bagni realizzati nella seconda metà del XV secolo per volere di Ercole I d'Este presso il Castello e nelle adiacenze del Giardino del Duca, detto poi delle Duchesse; quello vicino al giardino era dotato di stufa per scaldare l'acqua, poiché, come affermava il cronista del Quattrocento Ugo Caleffini, al Duca piaceva “bagnarsi” spesso. Se, in generale, l'acqua proveniva dal Po attraverso un complesso sistema idraulico, cui aveva lavorato pure Biagio Rossetti, da alcuni documenti d'archivio si evince che nel 1493 venivano portate nel palazzo Ducale di Ferrara (per i bagni di Ercole) diverse botti di acque termali e fanghi provenienti dal padovano, in particolare da Abano e da San Bartolomeo nei Colli Euganei.

Isabella d’Este chiedeva spesso ai suoi agenti di procurarle le acque odorose e tale uso probabilmente non si limitava al momento del banchetto ma era esteso all’aspersione degli ambienti di Corte per renderne maggiormente tollerabili gli odori. Ordina “Voressimo che vedesti se in Venetia se ritrovasse acqua de rose damaschine che fusse bona, et ci mandaste per il primo burchio sei zucchette” ed ancora ad un altro ambasciatore “Siate contento di far opera per farni havere una zucca di bona grandezza d’acqua nanfa, et un’altra di acque di rose damaschine buona”, lamentando poi insofferente “Siamo stata questi dì in expettatione delle acque di rose damaschine et nanfa…et ci meravigliamo che non sia a quest’hora comparso niente” ed il poveretto le rispondeva “Dico che questi profumieri non sanno che sia acqua damaschina; e però io ne ho fatto comprare di tre sorte, acciò che la veda se gli è cosa che la contenta”. Per placare i capricci di Isabella e solleticare il suo edonismo le vien scritto da Roma “Ho combatuto cum quanti perfumeri ha questa città et cum quante Signore ce sono, cusì Spagnole como Italiane, che V.Ex. fa et adopera la piu excellente misura et compositione si trovi al mondo”. Come si può notare, Isabella d'Este, che definiva sé stessa “prima perfumera del mondo”, aveva un rinomato laboratorio di profumeria, dove componeva personalmente varie miscele su una base di acqua di rose (come la rosa damascena o la rosa rossa di maggio), oppure a base di acqua nanfa di fiori di arancio. A queste acque, Isabella aggiungeva i più diversi ingredienti provenienti dalle nostre zone e dai giardini rinascimentali come la menta o la maggiorana, insieme ad altri componenti decisamente esotici come l'ambra, il muschio indonesiano, il balsamo egiziano, l'incenso arabo e l'aloe indiano.

Una serie di lettere risalenti al 1530 tratta della commissione di alcuni pezzi di argenteria realizzati a Roma, su disegni di Giulio Romano, per conto del cardinale Ercole Gonzaga e del fratello Ferrante Gonzaga, entrambi figli della marchesa Isabella, allora residenti rispettivamente a Mantova ed in Sicilia. Questo materiale documentario rivela la complessità del mecenatismo a distanza e sottolinea l'importanza del ruolo svolto dagli agenti diplomatici che fungono da intermediari artistici. Questi ultimi erano tenuti a negoziare le molteplici esigenze funzionali e rappresentative dei loro committenti ed a curare gli aspetti pratici della commissione, assicurandosi che gli orafi fossero onesti e fedeli alle invenzioni grafiche di Giulio, e che gli oggetti corrispondessero alle aspettative dei loro committenti. 

Oxford, disegno di Giulio Romano per Brocca a forma di delfino

Nel fastoso e monumentale servizio da “credenza” del cardinale Alessandro Farnese, prodotto a Castelli d’Abruzzo nel terzo quarto del ‘500, troviamo due splendidi rinfrescatoi a navicella, oggi conservati all’Ermitage ed al Museo Internazionale della ceramica a Faenza, capi d’opera unici al mondo. Questi oggetti erano atti a contenere acqua fredda per tenere in fresco bevande o per raccogliere l'acqua che si versava sulle mani, prima di accedere alla mensa.

Rinfrescatoio a navicella con mascheroni di Alessandro Farnese, XVI sec.

 

Come ci narra Gabriele Bertazzolo nella sua “Breve relazione dello sposalizio fatto dalla Serenissima Principessa Eleonora Gonzaga con la Sacra Cesarea Maestà di Ferdinando II Imperatore”, la coppia tornando al Palazzo dopo la cerimonia avvenuta ad Innsbruck il 2 febbraio 1622, si ferma nella Sala grande per il banchetto, apparata oltre che con figure di zucchero – argomento approfondito nell’articolo precedente -  davanti al piatto dell'Imperatore, con due macchine: una rappresenta una prospettiva di un giardino, l'altra una montagna con piante, frutti e animali, da cui scaturiscono due fontane di acqua profumata.

Nel 1647 ci viene descritta la cena fatta tra il Duca Alessandro della Mirandola nel passaggio che fece la Duchessa di Mantova Caterina de’ Medici, in cui “fu servita Sua Altezza con salvietta bagnata in acqua di gelsomino”, con tanto di ricetta.

Dunque nei convivi italiani rinascimentali le acque nanfe, di rose, di limoni, di mirto e di muschio stazionano accanto alle tavole o sono servite in baccine d’argento, affinché i commensali possano servirsene ogniqualvolta lo desiderino. Nel 1601 il protonotario scrive al Duca Vincenzo Gonzaga di avergli inviato da Genova “una cassetta di quattro fraschi di acqua di cedro” precisando “et perché nissuno la tocchi o la alteri in camino, mando la chiave di essa a Vostra Signoria illustrissima con questa mia”.

Raccontano le cronache che a Reggio Emilia, sin dal 1412, quando un editto del Consiglio degli Anziani ne autorizza la vendita “dentro le mura” - sulla piazza maggiore - si diffuse l’uso dell’acqua d’orcio, bevanda aromatizzata alla liquirizia e anice che veniva versata, così si dice, nelle botteghe del centro come servizio per i clienti nelle giornate torride. Probabile è la derivazione toscana, terra con la quale Reggio aveva fin dal Medioevo importanti contatti commerciali: l’usanza appresa dai mercanti toscani prevedeva di accattivarsi la clientela offrendo nel proprio negozio, gratis, acqua nella quale erano posti in infusione erbe, contenuta in un orcio, da lì acqua d’orcio o d’orzo. Presto si capì che la bevanda migliore era ottenuta con l’infusione di liquirizia che procurava effetti rinfrescanti e tonici.

Poi non mancano le acque miracolose, per cui essendo Francesco caduto malato nell’agosto del 1605, suo padre Vincenzo Gonzaga si fa inviare da Assisi in piena notte “il corriero con cert’acqua di un pozzo miracoloso per la febre del serenissimo principe nostro signore”. Una volta ristabilitosi, il giovane invia alla madre Eleonora De’ Medici da Maderno “dei frutti, ma dei fiori non gliene mando se non pochi, perché non se ne può haver quantità, ond’ella non potrà farne far l’acqua come era suo desiderio”.

Non mancano acque segrete alchemiche, come “l’acqua forte che solve l’oro et l’argento”, precisando che “quale havuta che sia vera la manderò a vostra altezza”.

Tra le acque salutifere quella di cui scrive a Vincenzo Gonzaga nel 1610 il Duca di Modena Cesare D’Este, “soggiungendomi che lo stomaco di vostra altezza, per esser grandemente offeso da fredda intemperanza, produce nei budelli effetti ventosi”; Vincenzo Gonzaga sguinzaglia così per procurarsi tale acqua di Carfignana (Garfagnana) Giovan Battista Acquistapace, che lo rassicura su come si dovrà “adoperare ogni dovuta diligenza acciochè sia condotta fedelmente et ben conditionata et l’istesso sarà eseguito nel levarla d’il proprio fonte”.

Che l’acqua potesse essere pericolosa lo attesta una missiva inviata al Duca Vincenzo Gonzaga sul finire del Cinquecento dalla corte cesarea di Praga, riferendo di un episodio occorso all’imperatore Rodolfo II D’Asburgo: “….quattro giorni sono, intorno a far pruova di certi fuochi artificiali et avendo in mano un’ampolla d’acqua di vita, ne cadde un poco sopra della polvere ch’era dinanzi alla maestà sua et essendo acqua di vita eccellentissima subito s’accese il fuogo in quella polvere che andò alla volta della faccia di sua maestà, et vi fu grandissimo pericolo delli occhi et di guastarsi tutta la faccia, però per gratia di Dio non vi fu altro male che un poco di strinamento di barba et cigli et offesa la pelle del volto in due luoghi, sì che se ne sta ritirata”.

Si narra che sul finire del secolo il venditore ambulante Giovanni Paolo Feminis abbia inventato l’Aqua Mirabilis, una bevanda capace di guarire tutti i mali. Trasferitosi a Colonia, iniziò a produrre e commerciare questa rinomata acqua profumata a base di oltre 20 essenze differenti: la base essenziale è il bergamotto, cui si aggiungono quella di limonearanciamandarinolimettacedro e pompelmo, inoltre può contenere olio di lavandanerolirosmarinotimopetitgrain, olio di gelsomino ed issopo. All'Aqua mirabilis venne dato il nome di Eau de Cologne quando le truppe francesi nel 1800 entrarono in Colonia dagli ufficiali, che stimavano molto quest'acqua profumata usandola come tonico e profumo.

Nel 1900 poi, in occasione di un'esposizione organizzata dalla città di Colonia, artisti come KleeMacke e Kandinskij disegnarono alcuni progetti per una nuova linea di confezioni ed al termine della rassegna vennero scelti i disegni di Kandinskij.

 

 

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