MANTO DI LUNA
La Grancontessa Matilde
Da oggi inauguriamo una nuova rubrica, Manto di Luna, che cadrà ogni luna nuova, proprio come oggi. Il simbolo della luna è infatti legato a Mantova fin dai tempi pagani, quando la città era consacrata alla dea Diana, e oltre. Ogni nuova luna dunque, presenteremo un personaggio che è passato di qui, e che ha lasciato un segno. Il primo che abbiamo scelto è nientemeno che la Grancontessa Matilde di Canossa.
Matilde si è fermata qui
Anastasia Malacarne
iversi anni fa, passando per una strada bassa che da
Gonzaga conduce a Bondeno, mi fecero notare una corte, simile a molte altre
corti di campagna nei dintorni, che però aveva qualcosa di speciale, perché in
tempi assai remoti era appartenuta ad un personaggio di grande importanza, la
Contessa Matilde di Canossa. Ero solo una bambina allora, ma ricordo come la
cosa colpì la mia immaginazione: possibile che in quel luogo tanto anonimo e
malconcio, occultato nei campi confinanti tra Gonzaga e Reggiolo, fosse vissuta
una delle più grandi figure femminili della storia? Conservo un’immagine nitida
di quella costruzione antica, che a me pareva semplicemente vecchia, coperta di
edera, che nulla conservava di signorile o regale. La mia sorpresa aumentò
quando seppi che la Contessa vi era addirittura morta. Da quel momento in poi
quella casa per me divenne un luogo magico e misterioso, che si sarebbe svelato
ai miei occhi solo dopo molto tempo.
Oggi quella corte è ancora là, contrassegnata da un
cartello giallo che, in un italiano stentato, racconta al passante distratto
cosa avvenne in quel luogo ben nove secoli fa.
In terra mantovana, la terra dove nacque e fu sepolta,
tutto parla di Lei; il suo segno è rimasto indelebile nella storia, nell’arte,
nelle strade, nelle pietre delle nostre chiese romaniche.
Mantova e Matilde
Matilde nacque, molto probabilmente a Mantova, nell’anno
1046 da Bonifacio di Canossa e Beatrice di Lorena, che qui risiedevano per
l’importanza strategica della città all’interno dei territori canossiani. Vi
sono prove dell’esistenza di un palazzo sede della Corte di cui, disgraziatamente,
non rimangono tracce.
In occasione della seconda inventio del
Preziosissimo Sangue di Cristo nel 1048, Beatrice ordinò l’elevazione di un
monastero dedicato a Sant’Andrea, dopo che nel 1046 era stata riedificata
l’omonima chiesa come ringraziamento per la nascita di Matilde. Seguirono altri
lavori di ampliamento della chiesa, sia per volontà di Bonifacio che
dell’imperatore, e le sacre reliquie vennero poste nella cripta sotto l’altare.
Il padre di Matilde morì in circostanze poco chiare
durante una battuta di caccia nel 1052, nei pressi di Mantova, forse vittima di
un agguato. In Duomo, una lapide nella cappella dell’Incoronata ricorda il
luogo della sua sepoltura.
La fanciulla, che passò gli anni dell’infanzia in
Germania, dopo la morte dei fratelli Beatrice e Federico, si ritrovò unica e
giovanissima erede del patrimonio feudale dei Canossa, esteso tra i territori
di Lucca, Ferrara e Brescia, tra cui, naturalmente, anche Mantova.
Il rapporto tra la città virgiliana e la Contessa non fu
mai facile: il popolo non amò particolarmente Matilde, tranne forse quando la
sua vita stava ormai per giungere al termine. Nella Vita Mathildis del
monaco Donizone si legge una rampogna alla città di Mantova per aver ceduto
all’imperatore Enrico IV:
[…] “Mantova, se
tu avessi voluto serbarti fedele
alla Contessa, con l’aiuto che Matilde ti dava
non solo dieci anni, ma venti avresti potuto
resistere senza paura ai nemici.”
[…] “ma perché il tuo nome gettasti all’ortiche,
per viltà consegnando te stessa ai nemici?
Popolata da gente cattolica, eri solita, prima,
celebrare la Pasqua di Cristo con la splendente
Matilde:
la tua corte era colma di vivande e di doni,
veramente all’altezza della corte di un re. […]
Matilde non corrispondeva invece tali astiosi sentimenti;
riconquistò la città e la perdonò. Il suo consigliere e guida spirituale,
Anselmo da Baggio, Vescovo di Lucca, è il santo patrono della città, e morì a
Mantova nel 1086. Fu proclamato santo a furor di popolo l’anno successivo.
Anch’egli, come la Contessa, era molto legato al monastero di San Benedetto in
Polirone, dove entrambi avrebbero voluto riposare, ma, come vedremo, le cose
andarono diversamente. Il corpo incorrotto del santo è conservato in Duomo e
viene esposto ogni 18 marzo all’adorazione dei fedeli.
Un segno intatto e tangibile della presenza di Matilde a
Mantova è la chiesa più antica della città: la rotonda di San Lorenzo, luogo
sacro e affascinante, carico di simboli. Il monumento, risalente al 1083, fu
quasi certamente voluto dalla Contessa, che fu presente a Mantova con una certa
continuità dal 1080 al 1090 circa. Pare che l’intento di Matilde, nella
costruzione di San Lorenzo, fosse quello di creare una vera e propria cappella
palatina, sul modello di quella di Aquisgrana. Ella, dunque, tramite questo
edificio volle affermare il proprio potere e il potere cristiano, in contrasto
con l’Impero.
Gli ultimi anni
Nel 1007 Tedaldo di Canossa aveva fondato il monastero
benedettino di San Benedetto di Polirone, la “Montecassino del nord”, luogo
estremamente caro a Matilde. Già Bonifacio aveva concesso grandi estensioni di
terreno che i monaci si prodigarono a bonificare, e anche Matilde elargì
numerose donazioni, che fecero del cenobio uno dei più ricchi d’Italia. La
famiglia Canossa si riservava il diritto di nominare l’abate, e legava
strettamente l’agire di quest’ultimo alla supervisione del signore, che aveva
sempre l’ultima parola. Il monastero brillava come centro di cultura e lavoro,
e diede vita a meravigliosi codici miniati, molti dei quali ci sono
fortunatamente pervenuti.
Nel 1077, in seguito al famoso episodio avvenuto a Canossa
tra l’Imperatore Enrico IV e il papa Gregorio VII, che vide la Contessa in
veste di mediatrice, Matilde donò l’abbazia al papa, il quale a sua volta la
pose sotto la giurisdizione di Cluny, che da allora influenzò notevolmente
l’organizzazione del monastero e la vita stessa dei monaci.
Fu qui che Matilde volle essere sepolta, vestita con il
saio delle monache benedettine, quando la morte la colse il 24 luglio del 1115,
a 69 anni.
Leggiamo ancora dalle parole di Donizone:
[…]volle celebrare Matilde il Natale di Cristo
in un villaggio chiamato Bondeno.
[…] A letto ammalata per ben sette mesi, ella stessa
fece erigere dinanzi alla stanza in cui giaceva
continuamente
una cappelletta in onore di Dio e San Giacomo […]
Così, restando distesa, poteva ascoltare la messa
com’era suo uso.
Dunque, il monaco racconta gli ultimi momenti della
Contessa trascorsi nella dimora del Bondanazzo di Reggiolo, non lontano dal
monastero di Polirone. A quanto pare, poco prima di morire, Matilde fece
costruire in questo luogo una cappella dedicata a San Giacomo, di cui non
rimane nulla. La casa, oggi abitata da una famiglia di agricoltori, non
conserva più l’aspetto originario ormai, anche se un’attenta analisi svela già
dall’esterno che non si tratta di una semplice corte agricola come tutte le
altre, e mostra soltanto, nell’ingresso principale, un bellissimo soffitto a
voltini abbelliti da peducci in cotto rosso, e, seminascoste da una scala, tracce
di pregiati affreschi, forse quattrocenteschi, di soggetto religioso, che
lasciano immaginare ben più vaste sezioni di pareti dipinte: quanto mai
auspicabile sarebbe una ricerca in tal senso. In particolare le figure
rappresentano due personaggi con aureola dai tratti delicati, quasi muliebri,
con in mano piccoli libricini, e un terzo personaggio, stavolta senza aureola,
che spunta da una nicchia ricavata nell’angolo tra due pareti. La corte,
essendo un’abitazione privata, non è purtroppo visitabile.
Il corpo di Matilde, dopo vari spostamenti all’interno del
complesso abbaziale, fu collocato nella sagrestia della basilica di San
Benedetto Po, e il monumento funebre fu ornato nel ‘500 da una tela di Orazio
Farinati che ritrae la Comitissa guerriera a cavallo, con in mano il
melograno, simbolo di saggezza e prosperità.
I resti di Matilde, nel 1632, furono trafugati da San
Benedetto Po per volere di papa Urbano VIII e riposano ora nella basilica di
San Pietro in Vaticano, nel grandioso monumento eretto dal Bernini, molto
lontano dal luogo da Lei tanto amato.
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